Nei primi due secoli dopo l’anno 1000 i territori italiani organizzati secondo il sistema feudale furono teatro delle lotte politiche fra poteri istituzionali ed economici. I rappresentanti dei diversi interessi erano le autorità comunali, i vescovi conti e le famiglie nobili che rivendicavano o una completa autonomia di gestione dei territori di appartenenza o una garanzia sui loro privilegi da parte delle massime autorità dell’epoca: l’imperatore tedesco, erede del Sacro Romano Impero e il papa di Roma.
Nella gestione di Monselice, i pochi documenti esistenti, testimoniano la compresenza di molteplici poteri. Fin dal 1013 esisteva un luogo di competenza imperiale dedicato alla gestione degli affari economici e giudiziari, dove per due volte sostò Federico Barbarossa (1161 e 1184). E’ possibile che l’Imperatore avesse eletto la fortificazione monselicense a postazione militare privilegiata per le sue discese in Italia, che erano pianificate per contenere le spinte autonomistiche di alcuni comuni padani e realizzare il sogno, poi fallito, di ridare vita al Sacro Romano Impero, esteso dai territori tedeschi fino alle regioni dell’Italia meridionale.
All’autorità regia si affiancava il potere di un gruppo di notabili locali (possidenti, cavalieri e notai) riuniti in una sorta di assemblea cittadina che diede il via alla formazione del Comune. Il potere comunale in sintonia con quello imperiale, consentì a Monselice per circa un secolo, di non essere facilmente preda delle mire espansioniste delle famiglie aristocratiche del territorio (gli Estensi, i Calaone etc.) e di controllare i numerosi interessi economici delle istituzioni religiose. Secondo alcuni studiosi potrebbe risalire a questo periodo la fondazione dei primi edifici del Castello posto ai piedi della Rocca, oggi denominato Castello Cini, per volere del Barbarossa.